Aggirare un ostacolo sulla strada verso l'energia da fonti rinnovabili

Molti anni fa ho scoperto che cos'era uno scrubber. Chi ha familiarità con le centrali elettriche a carbone conosce la tecnologia degli scrubber, ma chi non lavora nel settore delle utenze elettriche difficilmente sa di che cosa si tratti. Rimasi sorpreso nello scoprire che l'impianto scrubber, progettato per eliminare le sostanze inquinanti dalle emissioni di una centrale a carbone, è di solito più grande della centrale stessa. Gli scrubber utilizzano una nuvola di piccole gocce d'acqua combinate con calcare frantumato per estrarre lo zolfo dalle emissioni prima che venga disperso nell'atmosfera.

L'installazione di uno scrubber è costosa, il che probabilmente spiega perché delle 240 centrali elettriche a carbone statunitensi attualmente in funzione solo il 30% circa abbia uno scrubber. Eppure ne vale davvero la pena: ciò che esce dal camino dello scrubber è fondamentalmente vapore privo di inquinanti.

Quello che gli scrubber non fanno, purtroppo, è eliminare l'anidride carbonica contenuta nelle emissioni di scarico. E questo è un problema non secondario, date le preoccupazioni associate all'immissione di gas serra nell'atmosfera. Di conseguenza, negli Stati Uniti è prevista la dismissione entro breve di molte centrali a carbone e circa 157 sono già state chiuse negli ultimi anni.

A quanto pare, questa chiusura in massa sembra aver dato un'idea a qualcuno che lavora al ministero, che si è interrogato sulla fattibilità di convertire le centrali a carbone dismesse in piccoli reattori nucleari modulari (SMR) e in reattori avanzati (AR).

(Immagine per gentile concessione di Crouzet Controls)

Entrambe le tecnologie sono studiate da decenni. Utilizzano misure di sicurezza passive che funzionano senza l'intervento umano e sono abbastanza promettenti da aver attirato investimenti privati: persino Bill Gates, il fondatore di Microsoft, ha finanziato una start-up di SMR. Molti di questi reattori più piccoli sono progettati per essere posizionati sotto il livello del suolo per resistere alle minacce terroristiche. Inoltre, in virtù soprattutto del loro rapporto superficie/volume (e calore del nucleo) più elevato, gli studi dimostrano che non avranno bisogno di tante misure di sicurezza come i reattori di grandi dimensioni.

I ricercatori del Dipartimento dell'Energia affermano che un punto a favore della collocazione di questi nuovi reattori nello stesso luogo delle centrali a carbone dismesse è che tali centrali sono raramente di grandi dimensioni: oltre il 90% è inferiore a 500 megawatt elettrici (MWe) e alcune sono inferiori a 50 MWe. Gli SMR sono generalmente da 300 MWe o meno, circa un terzo delle dimensioni dei reattori nucleari tradizionali, e occupano molto meno spazio. Inoltre, le piccole centrali nucleari potrebbero aiutare a preservare la forza lavoro esperta presente nelle comunità dei siti delle centrali a carbone in via di dismissione; infatti molti veterani di quella tecnologia possiedono già competenze e conoscenze che possono rivelarsi utili per lavorare in una centrale nucleare.

Il Dipartimento dell'Energia ha inoltre rilevato che utilizzando l'infrastruttura esistente per i nuovi reattori avanzati si potrebbe risparmiare dal 15 al 35% sui costi di costruzione. Il riutilizzo delle connessioni alla rete di distribuzione elettrica, degli edifici per uffici, di apparecchiature elettriche come i sistemi di trasmissione e i quadri elettrici, e delle infrastrutture civili esistenti potrebbe comportare dei risparmi iniziali dell'ordine di milioni.

Tutto questo sembra fantastico, ma pare che la ragione principale per l'inserimento degli SMR e dei reattori avanzati nelle vecchie centrali a carbone sarebbe il riutilizzo delle connessioni alla rete di distribuzione elettrica. Questa è l'impressione che si ricava da una recente analisi condotta dal Rapid Energy Policy Evaluation and Analysis Toolkit (REPEAT), un progetto guidato dal Professor Jesse Jenkins dell'Università di Princeton. L'analisi prende in esame la legislazione federale approvata di recente, nota come Inflation Reduction Act (IRA), e in particolare la parte della legge che riguarda la produzione di energia pulita.

REPEAT ha inizialmente stimato che gli investimenti concessi dalla legge ridurrebbero le emissioni nette del 42% rispetto ai livelli del 2005, contro il 27% delle politiche attuali. Ma più recentemente, REPEAT ha rilevato che se gli Stati Uniti continueranno a costruire linee di trasmissione con la stessa lentezza degli ultimi dieci anni - circa l'1% all'anno - nel 2030 le emissioni potrebbero non essere molto diverse da quelle che si sarebbero avute senza l'IRA. Questo perché l'IRA prevede incentivi per i veicoli elettrici e altre modalità di elettrificazione che aumenteranno la domanda di elettricità.

REPEAT prevede che, se l'espansione della trasmissione si limita all'1% all'anno, nel 2030 il consumo di gas naturale salirà del 4% rispetto ai livelli del 2021 e rimarrà elevato fino al 2035. Nel 2030 gli Stati Uniti consumerebbero oltre 110 milioni di tonnellate di carbone in più rispetto a quanto accadrebbe senza l'IRA. Per evitare che ciò accada, gli Stati Uniti dovrebbero più che raddoppiare gli sforzi per la costruzione di infrastrutture di rete, cosa altamente improbabile.

Per coloro che consideravano la promulgazione dell'IRA come un gesto rispettoso del clima, queste previsioni sono probabilmente piuttosto mortificanti. Tuttavia, sepolta nelle cifre e nei dati presentati da REPEAT nel suo ultimo rapporto, salta fuori una buona notizia: osservando i grafici del gruppo sulle previsioni di produzione di energia elettrica, si può notare che non è prevista una crescita di quella nucleare fino al 2035; anzi, in alcuni scenari, si delinea una diminuzione. A quanto pare, il gruppo non ha considerato l'aumento dei reattori avanzati o degli SMR in alcuna delle sue previsioni.

Ed ecco l'opportunità: il potenziale di una nuova tecnologia nucleare che più o meno spunta dal nulla per risolvere sia il problema delle emissioni che quello dell'infrastruttura di rete.

Informazioni su questo autore

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Lee Teschler is the Executive Editor of the Design World network of websites, online resources and print publications. Leland (Lee) Teschler worked at Penton Media for 37 years, starting in 1977 as a Staff Editor for Machine Design, and worked his way up to Chief Editor of the publication in 2006. Prior to that, he had been a communications engineer for the federal government. Teschler holds a B. S. in Engineering and a B. S. in Electrical Engineering from the University of Michigan, and an MBA from Cleveland State University.

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