Perché i robot scaturiti dalla fantasia sono più interessanti di quelli veri
Robin Murphy è una professoressa di informatica e ingegneria presso la Texas A&M e il suo campo di ricerca è l'intelligenza artificiale per i robot mobili utilizzati per la ricerca nelle aree colpite da disastri. Di recente ha trovato una certa notorietà non per le sue ricerche, ma per un post pubblicato su un blog in merito a un argomento che nulla ha a che vedere con la robotica dei disastri: i robot dei film della saga di Star Wars.
I droidi di Star Wars R2-D2 e C-3PO (per gentile concessione di Wookieepedia)
Murphy è probabilmente la persona più qualificata per esprimersi sui robot di Star Wars. Ha scritto un libro sull'intelligenza artificiale spiegata attraverso racconti classici di science fiction, tra cui alcuni del grande scrittore di fantascienza Isaac Asimov. Una delle sue intuizioni: la migliore fantascienza che coinvolge i robot è stata proposta prima degli anni '80. Le prime storie si concentravano su cosa significa essere un robot, mentre le successive esploravano cosa significa essere umani.
Gli appassionati di fantascienza di una certa età con ogni probabilità conoscono le Tre Leggi della Robotica ideate e descritte da Isaac Asimov nel 1942:
- Un robot non può recar danno a un essere umano né può permettere che, a causa del suo mancato intervento, un essere umano riceva danno.
- Un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani, purché tali ordini non vadano in contrasto con la Prima Legge.
- Un robot deve proteggere la propria esistenza, purché la salvaguardia di essa non contrasti con la Prima o con la Seconda Legge.
Murphy fa notare che i media spesso trattano le Tre Leggi come l'espressione definitiva dell'etica dei robot, ma Asimov le ha deliberatamente create in modo da sembrare ragionevoli pur mantenendo una certa ambiguità. Piuttosto che per il progresso della robotica, Asimov progettò le sue Leggi per creare conflitti e aiutarlo a ideare trame. In definitiva, secondo Murphy, le Leggi di Asimov non riguardano tanto le decisioni etiche, quanto le linee guida ingegneristiche di base in grado di prevenire gli incidenti.
È anche interessante esaminare gli aspetti della tecnologia robotica sui quali i primi scrittori di fantascienza hanno preso un abbaglio. La cosa forse più eclatante in questa categoria è che le storie spesso presupponevano il corretto funzionamento del software, o cervello positronico; quindi i problemi che davano origine alla storia dovevano per forza dipendere da malfunzionamenti dell'hardware. La realtà è che il capro espiatorio è più probabilmente da ricercare nel software, come nel caso di problemi di identificazione delle immagini o di auto a guida autonoma che falciano i pedoni.
Un'altra mancanza di immaginazione che spesso si manifesta nella fantascienza degli albori è quella che si potrebbe definire una "mentalità da mainframe". Gli scrittori erano talvolta ossessionati da un regime di controllo e coordinamento centralizzato che oggi appare quantomeno curioso. Ma anche quando gli scrittori di fantascienza concepiscono robot in grado di andare per conto proprio e imparare cose, tendono a sbagliare gli algoritmi di apprendimento, sostiene Murphy. In particolare, gli autori a volte attribuiscono alle reti neurali qualità quasi mistiche, forse perché "l'apprendimento profondo suona quasi esoterico", afferma. In realtà, l'apprendimento profondo è "profondo" solo in termini di strati di relazioni statistiche dense tra le caratteristiche, non in termini di profondità. E nulla in 50 anni di ricerca sull'intelligenza artificiale suggerisce che i robot possano superare i limiti della logica imposta dalla loro progettazione.
Questo ci porta ai recenti commenti di Murphy sulla presenza di robot nei film di Star Wars. Spiega che sembrano più avanzati dei robot del mondo reale e probabilmente più interessanti perché spesso vengono inseriti in ruoli simili a quelli umani, come soldati, baristi, traduttori e insegnanti, piuttosto che in lavori sporchi, noiosi e pericolosi in cui i robot eccellono. E i veri costruttori di robot verrebbero probabilmente licenziati se proponessero progetti della complessità di una macchina di Rube Goldberg come quelli esibiti nella saga di Start Wars.
Ad esempio, il droide assassino chiamato IG-11 ha una torretta rotante. Questa funzione aggiunge movimento e adrenalina alle sparatorie, ma risulta assolutamente superflua nel mondo reale. "I gradi di libertà in eccesso di IG-11 sono un invito al cedimento delle articolazioni e aumentano i requisiti di calcolo e controllo del movimento. Per fornire la stessa copertura a 360°, un progetto più pratico si baserebbe probabilmente su un array fisso di sensori ed effettori, senz'altro meno entusiasmante, ma più affidabile", osserva Murphy.
Un altro robot di Star Wars eccessivamente complesso è il bipede AT-ST (All Terrain Scout Transport), che viene facilmente sconfitto dagli allevatori di krill che preparano una semplice trappola per farlo inciampare. Nello stesso episodio, fa un'apparizione anche il robot a quattro zampe Spot di Boston Dynamics, spingendo Murphy a scrivere: "Forse la dipendenza dell'Impero da complicati meccanismi robotici (aggravata dagli Stormtrooper che non riescono a colpire ciò a cui mirano) spiega la sua scomparsa, soprattutto se si considera che Spot, molto più agile e robusto, è presumibilmente disponibile al pubblico su un pianeta vicino".
Infine, è degno di nota il fatto che i personaggi della saga a volte si buttano nel pericolo piuttosto che fare uso di droni aerei. Questo sembra essere un altro grattacapo, visto che un elicottero chiamato Ingenuity sta già aiutando il rover Perseverance a tenersi fuori dai guai su Marte.
È quindi possibile che le generazioni future si divertano a guardare i film di Star Wars quasi quanto il pubblico di oggi, ma non è escluso che una parte del divertimento possa consistere nel sorridere del modo in cui gli sceneggiatori hanno utilizzato i robot.

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